Rezension über:

So Nakaya: Raising Claims. Justice and Commune in Late Medieval Italy (= SEUH. Studies in European Urban History (1100-1800); Vol. 56), Turnhout: Brepols 2022, 255 S., 3 Kt., 7 s/w-Abb., 18 Tbl., ISBN 978-2-503-59006-6, EUR 86,00
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Rezension von:
Alberto Spataro
Dipartimento di Studi medioevali, umanistici e rinascimentali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Redaktionelle Betreuung:
Étienne Doublier
Empfohlene Zitierweise:
Alberto Spataro: Rezension von: So Nakaya: Raising Claims. Justice and Commune in Late Medieval Italy, Turnhout: Brepols 2022, in: sehepunkte 23 (2023), Nr. 3 [15.03.2023], URL: https://www.sehepunkte.de
/2023/03/37042.html


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So Nakaya: Raising Claims

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L'esercizio della giustizia civile e penale nel contesto urbano dell'Italia tardomedievale è un tema cui sono state dedicate approfondite ricerche, specie per l'area tosco-umbro-emiliana della Penisola: si pensi, per esempio, ai lavori di Andrea Zorzi, Massimo Vallerani e Sara Menzinger. [1] L'abbondanza della documentazione scritta relativa alla conduzione dei processi, conservata negli archivi delle città italiane a partire dal Duecento, ha consentito agli storici non solo di ricostruire, talvolta fino nei dettagli, il funzionamento dei tribunali cittadini, ma anche di offrire un affresco della società urbana all'interno della quale avevano luogo le dispute. La monografia di So Nakaya, prendendo in esame il caso della Lucca trecentesca, si colloca in questo filone di ricerca.

Il volume si apre con un'introduzione nella quale si sottolinea l'ampio numero di controversie presentate alle autorità cittadine lucchesi nel XIV secolo: in un centro abitato da ventimila abitanti erano discusse mediamente diecimila cause civili nell'arco di un anno (16). A partire da tale constatazione l'autore sottolinea la specificità del contesto documentario italiano, che si presenta ricco non solo in grandi città come Firenze o Milano, ma anche in ambiti 'minori' come, per l'appunto, Lucca. Queste osservazioni danno l'abbrivio per tracciare un quadro storiografico sul rapporto tra comuni e pratica giuridica, dove l'autore mostra una notevole dimestichezza con la bibliografia in lingua italiana e inglese.

Il volume è ben strutturato ed è nettamente bipartito in due macro-sezioni: la prima riguardante la giustizia civile, la seconda quella penale; ciascuna di esse si compone a sua volta di tre capitoli.

A partire dall'analisi dei Libri reclamorum sollemnium e dai Libri causarum confezionati dai notai lucchesi, si procede all'indagine dei meccanismi che regolavano l'accesso alle corti cittadine e le varie strategie adottate dai protagonisti delle controversie civili. La soluzione di questi conflitti poteva avvenire anche attraverso modalità più informali e concordate preventivamente, come gli arbitrati o addirittura extra iudicium.

Nel secondo capitolo è messa a fuoco l'interazione tra le autorità comunali e i cittadini nell'ambito della soluzione dei conflitti, interazione che riguardava soprattutto il sistematico sollevamento di exceptiones. L'assiduità di tale pratica finì per influenzare la legislazione cittadina, come dimostra l'assorbimento delle consuetudini processuali negli statuti lucchesi del 1331. Quest'ultimo aspetto è di notevole interesse, in quanto mostra come nella vita politica e giudiziaria avessero spesso più peso gli interventi provenienti dalla comunità urbana piuttosto che dalle decisioni degli Anziani e dei giudici (95).

Da queste considerazioni prende le mosse il terzo e ultimo capitolo relativo alla giustizia civile. Anch'esso è altrettanto significativo, poiché analizza uno slittamento dei presupposti che regolavano la conduzione dei processi: si passava dal formalismo all'arbitrio (A Shift of Judicial Principle: from Formalism to Arbitrium). A partire dai registri giudiziari del 1336, 1365 e del 1369 si osserva, infatti, come la decisione del giudice assunse un ruolo sempre maggiore nella definizione della causa, sovente condotta tramite procedura sommaria. Il tutto avvenne in un contesto storico ben identificabile: il governo pisano su Lucca a partire dal 1365, allorché si registrò un declino dell'attività dei professionisti del diritto locali in favore dell'inserimento dei loro colleghi provenienti da Pisa. A tal proposito l'autore evidenzia come i giuristi provenienti da questa città fossero molto più preparati in campo romanistico in quanto essa "was a city where the Justinian code was rediscovered and then studied assiduosly" (109). L'affermazione suona fin troppo cursoria data l'ampia messe di lavori sulla riscoperta, lo studio e l'applicazione della compilazione giustinianea a partire dal XII secolo. Non sono citati, per esempio, i lavori di Emanuele Conte e, ancor prima, di Ennio Cortese, che proprio all'ambiente toscano ha dedicato importanti ricerche in tal senso. Un approfondimento di questi aspetti in rapporto al contesto lucchese porterebbe a risultati promettenti, data anche la tradizione di studi del diritto romano coltivata presso questa città, rappresentata ottimamente dal giurista Rolando da Lucca († post 1221), autore della prima Summa ai libri X, XI, e XII libri del Codex giuntaci in integro. [2]

Con il quarto capitolo si apre la seconda parte del volume dedicato alla giustizia penale. In generale, si nota come rispetto alle cause di natura civile, nelle quali entrambe le parti giocavano un ruolo attivo, in questo ambito fosse invece il collegio giudicante ad assolvere il ruolo principale. Sempre sulla base di una meticolosa analisi dei registri giudiziari si quantificano i maleficia presentati alla corte criminale (mediamente 230/270 per anno), per poi enucleare le principali tipologie (omicidi, iniuriae e furti) e, infine, analizzare le modalità di soluzione, tra cui spicca la concessione della gratia da parte sia delle autorità giudiziarie sia dei capi cittadini.

A questo provvedimento è specificamente dedicato il capitolo quinto, nel quale si mostra come nella Lucca trecentesca vi fossero due tipologie di gratia: la prima era collettiva e di carattere amnistiale, mentre la seconda individuale; entrambe si applicavano dietro una corresponsione di denaro e potevano essere revocate dai capi della città. Con acume e tramite un confronto con i casi studiati relativamente al Regno di Francia e ad altre compagini politiche italiane, si mostra come la concessione della gratia a seguito di una supplica fosse una modalità che accresceva la dipendenza dei sudditi dai loro governanti; nondimeno è di notevole interesse il ruolo dell'arbitrium dei capi cittadini, il quale, come già mostrato nel terzo capitolo, offre all'autore numerosi spunti di riflessione. L'analisi dell'accordamento della gratia si concentra, infine, sul periodo del dominio lucchese e, successivamente, sul governo repubblicano, durante il quale questo tipo di provvedimento fu generalmente soppresso.

L'ultimo capitolo affronta il tema della giustizia extraordinaria, esercitata da professionisti giunti a Lucca, il cui potere di sentenziare era affidato dagli Anziani. È questo il caso di ser Scherlatto, attivo tra il 1342 e il 1346, al cui arbitrium fu affidato il pronunciamento di sentenze tramite processi sommari. Nel medesimo torno di anni il compito di mantenere la sicurezza sul territorio lucchese, tradizionalmente esercitato dal Capitano di Custodia, fu così suddiviso: a questi fu lasciato come ambito di azione la città, mentre fu istituito un nuovo ufficiale giudiziario per la sorveglianza del contado (Bargello), il quale fu assai zelante nel contrasto dei banditi (banniti). Negli anni Settanta del secolo fu, invece, ricostituito il Consiglio generale composto da 180 membri, nel cui seno fu individuato un maius regimen (forse il podestà), incaricato di esercitare la giustizia per conto degli Anziani. Durante il regime popolare, a essere investito di tale ruolo fu dal 1392 il Capitano del popolo.

Il volume si chiude con stimolanti riflessioni sul rapporto tra giustizia, partecipazione e bene comune. Tali riflessioni prendono certo spunto dalla Lucca trecentesca ma, al contempo, pongono agli studiosi di storia (e non solo) questioni di estrema attualità, quali il contributo del popolo allo sviluppo delle istituzioni e alla vita del comune, nonché la reciproca influenza tra esercizio della giustizia e interessi politici. In conclusione, il lavoro di Nakaya, esito di lunghe e pazienti ricerche archivistiche, offre un affresco ricco e dettagliato, la cui fruizione è agevolata da tre carte geografiche, numerosi grafici e una linea cronologica; ancora meglio sarebbe stato, tuttavia, disporre di un indice dei numerosi nomi e luoghi citati.

Annotazioni:

[1] Andrea Zorzi: L'amministrazione della giustizia penale nella Repubblica fiorentina. Aspetti e problemi, Firenze 1988 (Biblioteca di storia toscana 1, 23); Massimo Vallerani: Il sistema giudiziario del comune di Perugia. Conflitti, reati e processi nella seconda metà del XIII secolo, Perugia 1991 (Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria. Appendici 14); Sara Menzinger: Giuristi e politica nei comuni di Popolo. Siena, Perugia e Bologna, tre governi a confronto, Roma 2006 (Ius nostrum 34).

[2] Emanuele Conte / Sara Menzinger: La Summa Trium Librorum di Rolando da Lucca (1195-1234). Fisco, politica, scientia iuris, Roma 2012 (Ricerche dell'Istituto Storico Germanico di Roma 8).

Alberto Spataro