Rezension über:

Raimund Schulz: Als Odysseus staunte. Die griechische Sicht des Fremden und das ethnographische Vergleichen von Homer bis Herodot (= Studien zur Alten Geschichte; Bd. 29), Göttingen: Verlag Antike 2020, 391 S., 4 Tbl., 3 s/w-Abb., ISBN 978-3-946317-68-5, EUR 50,00
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Rezension von:
Serena Bianchetti
Dipartimento di Lettere e Filosofia, Università degli Studi, Firenze
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Serena Bianchetti: Rezension von: Raimund Schulz: Als Odysseus staunte. Die griechische Sicht des Fremden und das ethnographische Vergleichen von Homer bis Herodot, Göttingen: Verlag Antike 2020, in: sehepunkte 22 (2022), Nr. 2 [15.02.2022], URL: https://www.sehepunkte.de
/2022/02/34943.html


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Raimund Schulz: Als Odysseus staunte

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"Eine Geschichte der antiken Ethnographie ist so immer auch eine Geschichte der geographischen Horizonterweiterung, der Exploration und Expansion, sie vollzog sich innerhalb der Dynamik von Fernhandel, Kontaktsuche und militärischer Eroberung".

In questa frase, contenuta nell'Introduzione, si concentra la linea di ricerca sviluppata in un libro che parte dalla constatazione dell'assenza di una disciplina etnografica nel contesto dei saperi dei Greci e che sembra essere il presupposto della piena autonomia di giudizio che caratterizza l'approccio dei Greci alle realtà "altre": vedere e stupire ("Sehen und Staunen") di fronte a eventi e situazioni inusuali e inaspettate costituisce il modulo con cui Odisseo, per primo, si rapporta alle diverse situazioni incontrate nel suo viaggio di ritorno dopo la guerra di Troia.

L'Autore spiega, nelle prime pagine del libro, l'importanza di un binomio di cui "staunen" costituisce un elemento fondamentale, come risulta dall'affermazione di Platone (Teet.155d) che pone questa azione all'origine stessa della filosofia. Lo stupore di Odisseo, navigatore provetto e al contempo capo indiscusso dei compagni che cercano, con lui, la via del rientro, costituisce il momento da cui parte una riflessione sul sé e su quanto sta al di fuori di sé: la conseguenza di questa azione è la definizione di un gruppo etnico (qui gli Achei) che costruisce la propria identità attraverso la creazione di precisi "etnic markers" o "core elements".

Il contesto odiassiaco è quello mediterraneo del quale più che mettere in discussione la realtà storica l'A. sottolinea la funzione in rapporto all'effetto che il racconto poteva avere su chi ascoltava, aiutato da una interpretatio greca ad avvicinarsi a realtà altrimenti lontane nello spazio e nel tempo.

L'inevitabile primazia del mare nei racconti di viaggio costituisce la cifra di una società - quella descritta nei poemi omerici- caratterizzata da una mobilità e da una capacità di contatti destinate a diventare la costante dell'approccio dei Greci con "gli altri".

Il libro si concentra nel primo capitolo (Odysseus an ferner Küsten: Die Geburt der griechischen Ethnoggraphie aus der Praxis maritimer Erkundung, pp. 43-87) sul metodo con il quale Omero descrive l'incontro di Odisseo e dei suoi compagni con le realtà lontane: contro chi ha interpretato il racconto omerico in una chiave fantastica o utopica, Schulz enuclea i criteri mediante i quali il poeta descrive mondi che appaiono nelle loro componenti realistiche, destinate a costituire la base delle indagini etnografiche di età successive: l'alimentazione, le abitazioni, i riti religiosi e le istituzioni sono le costanti attraverso le quali Omero presenta al suo pubblico i mondi visitati dal suo eroe. Questi è un re navigatore che si rivolge a un pubblico che ha una indubbia consuetudine con il mare e che condivide una concezione che oppone gli abitanti di regioni costiere, dedite all'agricoltura a quelli di regioni interne, dediti alla pastorizia o nomadi.

In un' analisi che studia in particolare le sezioni dell'Odissea dedicare ai Ciclopi, ai Lestrigoni, ai Lotofagi e a Circe, Schulz mette in rilievo l'originalità del racconto omerico rispetto a quanto ci è giunto da contesti egiziani e orientali: gli episodi narrati da Omero (v. ad es. p. 53 con la descrizione dell'organizzazione dell'isola di Circe e nella quale si coglie un tono "eminent politisch", dato proprio dal coinvolgimento dei compagni, ed estraneo ai moduli narrativi di provenienza orientale) rappresentano modi di contatto che riflettono una prassi risalente al tempo di Omero e destinata a costituire un modello per la descrizione etnografica.

Particolarmente interessante risulta l'ambivalenza, sottolineata dall'Autore, con la quale gli stessi contesti sono descritti da Omero: dei Feaci sono descritti al contempo la grande maestria nella navigazione e il rifiuto dell'attività commerciale; dei Ciclopi la chiusura verso gli stranieri che è anche il risultato di un isolamento, dono degli dei. Questa ambivalenza è intesa da Schulz come una chiave di lettura per entrare in sintonia con chi ascoltava i poemi e che recepiva dalla poesia indicazioni sull'interpretazione di mondi approcciabili da parte di chi si sarebbe avventurato in rotte estreme.

Il secondo capitolo (In die Tiefe des Raumes - Ethnographische Motive und Weltsichten in der Zeit kolonisatorischer Weitung ca.700-550 v.Chr., pp.88-134) analizza i motivi etnografici e le concezioni del mondo al tempo dell'ampliato orizzonte della colonizzazione. Seguendo il modello ricostruito per l'epos omerico, Schulz esamina quanto questo modello, che valutava le realtà in termini di analogia/opposizione, possa aver contribuito a spiegare l'approccio con l'esterno da parte di una Grecità che scopriva, attraverso la colonizzazione, nuovi orizzonti. L'Autore individua in due elementi di ordine geografico un possibile sviluppo del pensiero etnografico: l'apertura e organizzazione di grossi sistemi fluviali che comprendevano ampi spazi e la crescita del commercio trans-marino. Tanto la conoscenza di remote realtà continentali quanto l'esplorazione di coste di paesi lontani devono aver imposto la ricerca di criteri idonei a comprendere e a integrare il nuovo all'interno di una ecumene che, con i filosofi ionici, divenne oggetto di un'indagine volta a capire il rapporto terra/mare e la qualità delle terre abitate dai Greci e dagli "altri".

I viaggi di un eroe come Eracle, del quale la critica ha già riconosciuto la valenza culturale, o di un personaggio come Aristea (datato qui nel VII secolo senza tuttavia cenno a una probabile datazione più bassa) del quale è sottolineato il carattere storico seppure non privo di connotati sciamanici, danno la misura di uno sforzo, da parte greca, di organizzare i saperi connessi al movimento colonizzatore e di trovare criteri interpretativi più flessibili di quelli omerici e finalizzati a una comprensione degli aspetti etnografici correlati alla visione di una ecumene in continua espansione.

Il terzo capitolo (Zwischen Konfrontation und Bewunderung, pp. 135-194) è centrato sulle conseguenze dello scontro Greci-Persiani nel processo di costruzione di un'identità greca. Nell'approccio a realtà remote risulta esemplare il metodo di Scilace di Carianda, ammiraglio di Dario I e inviato dal Gran Re a esplorare l'Indo e a riferire al sovrano l'organizzazione di un territorio verso il quale Dario poi si rivolse. Il Periplo di Scilace, giuntoci in scarsi frammenti, è considerato da Schulz un testo fondamentale per la genesi di un metodo etnografico, destinato a godere di grande fortuna specialmente in età ellenistica. Questo testo, del quale sono sottolineate le analogie con il Libro dei Numeri dell'Antico Testamento, rientra in realtà in una categoria di scritti ben definita (v. P. Janni, La mappa e il periplo. Cartografia antica e spazio odologico, Roma 1984) e che in età ellenistica - verosimilmente con Eratostene - subì una sistematica catalogazione da parte di Eratostene (S. Bianchetti, recensione a F. J. González Ponce, Periplógrafos griegos I. Época Arcaica y Clásica 1: Periplo de Hanón y autores de los siglos VI y V a.C., Zaragoza, 2008, Sileno, 36 2010, 299-302). Il ruolo di Scilace viene avvicinato dall'Autore a quello di Ecateo, riconosciuto autore di una "carta" del mondo: i due sono considerati infatti gli inventori di forme divenute usuali nella ricerca etnografica (p.148). Va detto peraltro che la genesi di un genere periplografico, codificato in età ellenistica, doveva la sua peculiarità - e quindi la sua codificazione separata - all'eccezionalità dei risultati raggiunti dall'esplorazione marina che specialmente con Alessandro (e per merito di Nearco) raggiunse risultati notevoli e impose alla riflessione alessandrina un ripensamento del rapporto storia-geografia.

Il quarto capitolo (Wunder des Menschen - Ethnographisches Denken und Vergleichspraktiken im Spannungsfeld von Naturwissenschaft, Medizin und Politik, pp. 195-262) si concentra sul rapporto nomos-physis (importanti riflessioni in proposito restano quelle di S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I, Bari 1966) in relazione al De aeribus, giuntoci nel corpus hippocraticum. Schulz sottolinea a ragione la componente politica nella differenziazione dei caratteri degli abitanti di Europa-Asia e osserva come il concetto di Ellenicità non giochi alcun ruolo nello scritto nel quale sono citati solo una volta gli Ioni d'Asia, equiparati agli Asiatici. Credo tuttavia che debba essere rilevato il fatto che il comportamento degli Ioni d'Asia creò problemi ai Greci, come si ricava anche da Erodoto (1.143) che considera vergognosa la definizione "Ioni", soprattutto per gli Ateniesi. La "debolezza" dei Greci d'Asia (§ 12), causata dalla dipendenza di essi da una monarchia, doveva aver costituito un problema proprio nel momento in cui l'hellenikon (Hdt.8.144) si era opposto ai barbari: la posizione dei Greci d'Asia, anche dopo la vittoria sul barbaro, fu oggetto di discussione in madre patria, come riferisce ancora Erodoto (9.106).Mi pare dunque che nel De aeribus sia il determinismo istituzionale più che quello ambientale a definire le qualità dei popoli tra i quali gli Ioni d'Asia costituiscono un problema.

Il quinto capitolo (Eine neue Sicht der Welt - Vielfalt und Wandel der Völker in den Historien Herodots:1.Methodische Grundlagen und die Großethnien des Ostens, pp. 221-262) e il sesto capitolo (Vielfalt und Wandel der Völker in den Historien Herodots: 2. Der Süden und Norden (Ägypten und Skythen) und die Randvölker der Welt, pp. 263-326) affrontano il tema della descrizione dell'etnia persiana in relazione al rapporto con i Lidi e alla trasformazione della monarchia achemenide a seguito dell'espansione dell'impero e dell'incontro con le popolazioni progressivamente inglobate. Schulz sottolinea il carattere provocatorio delle descrizioni di Erodoto che mirano a stupire passando da confronti parziali (tra un prima e un dopo, tra una singola realtà e un'altra) a confronti globali nei quali la descrizione si allarga come con un compasso, sulla base dei singoli nomoi. Sono queste peculiarità che portano, da un lato, alla costituzione di unità complessive come quella degli Hellenes, degli Sciti, degli Egizi o degli Indiani, ma sono anche quelle che permettono di cogliere poi le differenze interne a queste stesse etnie (v. le diverse tribù scitiche). Lo storico suscita lo stupore nel suo pubblico anche presentando i diversi nomoi dei Greci- quelli degli Spartani in particolare- ma ciò che costituisce la cifra di Erodoto è, nella ricostruzione di Schulz, la capacità di concepire e rappresentare uno spazio storico-geografico fatto di analogie e differenze, con un'attenzione alla pluralità delle situazioni così da evocare e modernizzare lo "Staunen" omerico.

Che Erodoto non possa essere considerato il padre dell'etnografia ma che la sua opera segni una tappa nel pensiero che ha origine almeno nell'epos omerico è considerazione condivisibile a conclusione di un lavoro che affronta temi ampiamente dibattuti con un'attenzione rivolta in particolare alla dimensione emozionale del "vedere e stupire". Le numerose tabelle che chiariscono i termini dei confronti proposti e una aggiornata bibliografia rendono il volume un utile strumento per la ricerca e contribuiscono a introdurre il lettore in un contesto storiografico che appare in tutta la sua modernità.

Serena Bianchetti