Rezension über:

Karen Piepenbrink: Die Rhetorik des Aristoteles und ihr Verhältnis zum historischen Kontext (= Historia. Einzelschriften; 261), Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2020, 244 S., ISBN 978-3-515-12564-2, EUR 52,00
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Rezension von:
Carlo Natali
Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali, Università Ca' Foscari, Venezia
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Carlo Natali: Rezension von: Karen Piepenbrink: Die Rhetorik des Aristoteles und ihr Verhältnis zum historischen Kontext, Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2020, in: sehepunkte 21 (2021), Nr. 1 [15.01.2021], URL: https://www.sehepunkte.de
/2021/01/34201.html


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Karen Piepenbrink: Die Rhetorik des Aristoteles und ihr Verhältnis zum historischen Kontext

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Questo volume è il frutto di un programma di ricerca su "Historischer Kommentar zur Rhetorik des Aristoteles", finanziato dalla Deutschen Forschungsgemeinschaft. Non si tratta, a dire il vero, di un commento continuo alla Retorica dal punto di vista di uno storico, e nemmeno di una indagine sui numerosissimi esempi storici che sono contenuti nell'opera, ma di una comparazione tra le prescrizioni e le definizioni che Aristotele propone al suo pubblico e la pratica retorica concreta, come è derivabile dalle fonti del tempo. Procedendo così il volume offre un solido e importante contributo alla conoscenza della Retorica. Sono prese in esame soprattutto le orazioni, che permettono di ricostruire le opinioni degli Ateniesi contemporanei ad Aristotele e inoltre, più raramente, le opere degli storici, i manuali di retorica e le epigrafi. Queste fonti sono viste nei loro aspetti comuni e più generali e non dal punto di vista del paragone tra Aristotele e ogni singolo oratore, una scelta perfettamente legittima a parere di chi scrive la presente nota critica. Il volume procede per concetti e segue grosso modo l'organizzazione della Retorica stessa, discutendone gli aspetti che risultano più vicini al programma indicato.

L'Autrice inizia descrivendo la concezione aristotelica dell'arte retorica e la sua posizione storica, con particolare riguardo alla distinzione dei tre generi di discorso (17-54); prosegue poi con l'analisi delle motivazioni dell'azione nel contesto sociale (55-66), con la discussione aristotelica degli argomenti "non tecnici" (citazione delle leggi, giuramenti, contratti, testimonianze, deposizioni ottenute con l'uso della tortura, (67-88). Una ampia parte del volume è dedicata all'evocazione delle emozioni in rapporto alle aspettative dell'uditorio ed all'analisi dei valori sociali (87-119 e 120-147). Segue una indagine sul terzo libro della Retorica, di solito un po' trascurato dalla critica; l'Autrice si occupa della messa in scena dell'orazione, l'actio dei latini, e della composizione delle orazioni (148-170). Chiudono il volume una brevissima conclusione (171-174) ed una amplissima bibliografia (175-230), che costituisce una vera miniera di informazioni, di grande utilità per il lettore di formazione filosofica.

Infatti la Retorica è oggetto di studio da parte di varie tradizioni esegetiche, da parte di filosofi, storici, letterati e storici della retorica, e queste tradizioni non sempre comunicano tra loro, mentre l'Autrice mostra di avere familiarità con tutte, ed è capace di fornire informazioni su tutta una serie di indagini critiche che potrebbero sfuggire a chi lavora solo all'interno di una di queste tradizioni.

Da questo volume risulta che Aristotele, compilando la sua Retorica, ha presente soprattutto la situazione di Atene e fa riferimento ad un'oratoria appropriata ad una polis democratica. Ma il rapporto con la cultura retorica del suo tempo è piuttosto complesso, perché da una parte Aristotele vive ad Atene e si rivolge a un pubblico abituato alle specifiche condizioni dello scambio retorico di quella città, ma dall'altra parte per Aristotele la costituzione democratica è una forma degenerata di organizzazione politica. Quindi egli non può completamente aderire alle pratiche ed ai valori che osserva essere quotidianamente attuati intorno a sé, né, d'altra parte, come meteco può attaccare violentemente il regime politico della città in cui si trova a vivere, al modo dell'anonimo autore della Costituzione degli Ateniesi, tramandataci insieme agli scritti di Senofonte.

Frutto di questa situazione è una serie di silenzi, da parte di Aristotele, sugli aspetti a lui meno congeniali della pratica retorica del suo tempo. Quindi nella Retorica noi troviamo una descrizione e una serie di prescrizioni riguardanti una oratoria che si svolga in un contesto democratico, per così dire 'stilizzato' e depurato dagli aspetti del suo ambiente che Aristotele probabilmente considerava più volgari. Uno dei risultati più interessanti del volume è infatti l'elenco dei silenzi di Aristotele: l'osservazione dell'opera da un punto di vista esterno ne permette una migliore comprensione. In generale il panorama filosofico di Aristotele da una parte è molto più ampio di quello dei predecessori, ma da un'altra parte non considera temi centrali della riflessione filosofica greca, come l'amore, la morte o i problemi legati al culto degli déi. Ciò vale anche in ambito retorico; in questo ambito Aristotele passa sotto silenzio molti elementi importanti dal punto di vista di un retore del IV sec. a.C., si astiene dal lodare i monarchi stranieri, non tratta dei conflitti interni all'oikos e in generale tende a vedere l'oratore non come l'esponente di un gruppo sociale particolare, ma come un singolo, dotato di proprie aspirazioni alla felicità al di là di quella della polis (51, 61, 63-65, 98, 118, 125).

Ripetutamente l'Autrice nota che Aristotele trascura un elemento fondamentale della pratica retorica contemporanea, la rivendicazione della lealtà al regime politico corrente da parte di chi si rivolge all'assemblea o al tribunale, una pratica ancora oggi purtroppo molto frequente nei regimi dittatoriali. Gli oratori stanno attenti a non mettere in pericolo la coesione sociale (33), si occupano del culto degli déi come strumento di legittimazione della società (45-46). Essi costantemente cercano di apparire come dei cittadini comuni, inesperti di oratoria, buoni difensori del potere del demos. Allo stesso tempo cercano di screditare l'avversario come un elemento politicamente pericoloso per la pace nella città (65, 77, 90-91, 102, 149). Per ottenere successo essi si propongono come estranei alle élites, sia culturali sia politiche, e celebrano la democrazia come regno della legge e garanzia di sicurezza dei cittadini (195). In Aristotele non vi è nulla di tutto ciò.

Aristotele vuole porsi programmaticamente dal punto di vista del senso comune del pubblico nelle sue prescrizioni all'oratore, una scelta corretta, dato che è possibile convincere un uditorio solo a partire da principi e valori accettati da quello (22, 123, 174). Quindi trascura nella Retorica distinzioni importanti proposte in altre opere come le Etiche e la Politica (62, 122, 126). Ma non sempre riesce a tenere ferma tale separazione, e a volte gli capita di importare nel suo scritto tesi e distinzioni provenienti dalla sua propria filosofia, ma senza riscontro nell'oratoria corrente, come l'indagine sul meccanismo psichico che produce le emozioni (89), la distinzione dell'età matura come giusto mezzo tra giovinezza e vecchiaia (111) o l'identificazione della felicità del singolo come bene supremo (123).

Lo scopo stesso della Retorica aristotelica è di natura filosofica, secondo l'Autrice: si tratta di concettualizzare e formulare scientificamente l'arte retorica. L'opera non è un manuale pratico per retori e non vi sono indizi del fatto che gli oratori la consultassero (20, 172-173). Doveva essere fondamentalmente rivolta ad un pubblico di discepoli colti, esperi di logica e teoria politica, cittadini di Atene e leali alla città, ma di tendenze piuttosto critiche verso la democrazia esistente e sostenitori di un punto di vista elitario, che era fondato più sulla superiorità intellettuale che sulla nobiltà di origine o sulla ricchezza familiare. Manca infatti nella Retorica ogni riferimento alla critica delle élites dal punto di vista del popolo comune, tipica di ogni forma di populismo (36, 57, 64, 76, 97 etc.).

Si tratta di una posizione socialmente insicura, politicamente ai margini del dibattito politico del tempo, e che riflette ancora la difficile convivenza tra la filosofia e la democrazia ateniese, come le accuse e i processi contro Socrate, Teofrasto e Aristotele stesso dimostrano. Solo qualche generazione dopo Aristotele il popolo di Atene, perduta ogni importanza politica nello scontro tra i re ellenistici per la successione di Alessandro, deciderà di basare tutte le proprie pretese di eccellenza sulla cultura retorica e filosofica, nata nel suo seno e cosi poco apprezzata all'inizio, e di diventare il centro culturale più importante del mondo ellenistico, fino a prescrivere la lettura di filosofi e retori come momento essenziale della formazione pubblica delle giovani generazioni di cittadini e residenti stranieri.

Carlo Natali