A. Aguilera Martín: El monte Testaccio y la llanura subaventina. Topografía extra portam Trigeminam, Madrid: Consejo Superior de Investigaciones Científicas 2002, 248 S., ISBN 9788400080396, EUR 33,00
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Elaborata da uno dei componenti della missione spagnola che da anni lavora nel fertile cantiere del Monte Testaccio, la pubblicazione si propone, tra l'altro, di aggiornare i dati del volume di E. Rodriguez Almeida, Il Monte Testaccio. Ambiente, storia, materiali, Roma 1984. Le novità che le indagini di quest'ultimo ventennio hanno recato alla conoscenza della storia dell'Urbs grazie alla lettura delle stratificazioni orizzontali e verticali degli scarichi anforari sul Testaccio, vengono qui presentate nel quadro di un approfondimento della topografia storica di una zona di grande interesse per le fasi urbane di Roma. L'organizzazione del volume permette di inquadrarne subito il principale filone d'indagine: si delinea così l'analisi non solo archeologica ma anche topografico / monumentale, politica ed economica, della pianura extra portam Trigeminam posta alla base sudoccidentale dell'Aventino, corrispondente all'Emporium con gli horrea e le porticus che hanno funzionato da polmone strategico per lo stoccaggio ed il commercio soprattutto - ma non solo - delle derrate alimentari che hanno consentito lo sviluppo della città dal II secolo a.C. all'età imperiale.
L'articolarsi del lavoro, partendo dalle problematiche relative all'attracco delle navi di grande tonnellaggio alla foce del Tevere e dalle considerazioni sui sistemi del trasporto fluviale (cap. 1) si sofferma, con dovizia di particolari storico-filologici e archeologici, sulla progressiva monumentalizzazione ed urbanizzazione della parte emporica della regio XIII (cap. 2). Si giunge infine allo studio multidisciplinare del Mons Testaceus (cap. 3) con contributi che vanno dalle notizie storiche all'esegesi critica del monte, attraverso l'approfondimento dei dati derivanti dalle indagini di scavo e dalle conseguenti possibilità di individuare i diversi momenti dello scaricamento dei materiali, cronologicamente determinati dalle ben note indicazioni fornite dall'epigrafia anforaria.
1. Il primo capitolo,"Ostia y el Tiber", prende in considerazione l'area di arrivo del commercio oleario nel comprensorio costiero laziale, soprattutto riguardo al cosiddetto castrum di Ostia la cui fondazione, sulla riva sinistra del Tevere, si conferma entro gli inizi del IV sec. a.C. lasciando irrisolto il problema dell'insediamento del periodo di Anco Marcio, fondamentalmente legato al dominio sulla zona delle saline nell'età arcaica.
Nell'analisi del tragitto di raccordo con Roma, particolare attenzione viene prestata alla procedura del trascinamento dei barconi da carico attraverso un "camino de sirga", la strada rivierasca percorsa dai buoi da tiro. Il sistema fu organizzato in modi diversi nella fase repubblicana, quando funzionava lo scarico ai moli di Ostia ed il tiro delle chiatte fino all'Emporio (e precedentemente fino al portus tiberinus), ovvero nel periodo imperiale, quando entrarono a regime il porto di Claudio e poi la fossa traiana sull'altra riva tiberina con il conseguente utilizzo anche delle imbarcazioni codicariae.
Di indubbio interesse risulta infine l'analisi delle problematiche relative alle piene del Tevere ed alle soluzioni progettate ed in parte definite, almeno per quanto riguardava l'attraversamento urbano, dal piano urbanistico di Giulio Cesare noto nelle fonti con il nome di lex de Urbe augenda. L'idea globale cesariana doveva prevedere sia la ristrutturazione del sistema idrografico all'interno di Roma, sia la riconversione del porto ostiense nell'area che vedrà poi l'opera dell'imperatore Claudio, sia infine lo scavo di un canale artificiale paracostiero che eliminando il problema dell'insabbiamento alla foce del Tevere raccordasse direttamente le direttrici di traffico su una via d'acqua interna da Terracina all'Urbe.
Mentre su quest'ultimo punto vi fu una nuova progettazione - anch'essa non portata a buon fine - in età neroniana e mentre il nuovo porto ostiense vedrà la definitiva organizzazione solo con Traiano, per quanto riguarda il tratto fluviale urbano il piano cesariano, che comportava lo spostamento del Tevere, fu approvato anche se mai completato e rientrò nell' idea della grande e nuova Roma di cui conosciamo i punti essenziali grazie a tre famose lettere di Cicerone (ad Att. XIII, 20, 1; 33a, 1; 35, 1). Da queste si decodificano i progetti urbanistici che dovevano travalicare la lotta politica antipompeiana e proporre il modello di una capitale degna non solo delle megapoleis del mondo ellenistico ma anche della proiezione ideologica di un nuovo dinasta. Né è certo un caso, a parere del recensore, che sul progetto di piano cesariano, approvato nel 45 con una specifica legge, non sapesse nulla colui che si era definito Caesaris amicus pochi anni prima in una lettera (Cic., ad Att. IV, 17, 7) che fornisce gli estremi per comprendere la vastità - anche economica - di una operazione urbanistica che forse fu non ultima tra le ragioni della tragica fine del dittatore.
2. Il denso secondo capitolo (51-124) evidenzia già nel titolo il riferimento storico-topografico al comprensorio commerciale: "Emporium...: el complejo portuario subaventino". Partendo dalla urbanizzazione di quest'area tra la fine del III secolo ed i primi anni del successivo vengono proposti lucidamente i temi propagandistici di politica urbana che coinvolgono le maggiori famiglie romane di quel momento. È l'occasione per sottolineare ulteriormente [1], quanto già fu evidenziato dagli studi di F. Castagnoli e F. Zevi riguardo agli interessi economici legati all'attività politica di Scipione Africano: guida infatti la ricerca del consensus da parte dell'élite dominante, la particolare attenzione dedicata dal vincitore di Zama allo sviluppo edilizio dell'area subaventina in funzione soprattutto dell'approvvigionamento annonario dell' Urbe, sia attraverso un'azione politica che parte da lontano (fondazione nel 194 del porto di Puteoli, punto di arrivo del commercio granario del Mediterraneo), sia attraverso la gestione delle magistrature (censori, edili) che in quegli anni avranno le maggiori responsabilità nell'attrezzatura e nella edificazione dell'area emporica su una superficie di oltre 10 ettari. Basti pensare alla vasta gamma degli interventi - con l'acmè nel corso dell' aedilitas insignis di M. Emilio Lepido e di L. Emilio Paolo - che vanno dalla costruzione delle grandi porticus (tra cui primeggia l'Aemilia con i suoi circa m. 500 x 60 di area coperta da strutture in calcestruzzo), alle infrastrutture che testimoniano dell'avvenuta urbanizzazione dell'area [Liv., 39, 44, 5-6 ...cloacas, in Aventino et in aliis partibus, qua nondum erant, (M. Porcius Cato e L. Valerius Flaccus) faciendas locaverunt].
Le attività edilizie nel vasto comprensorio commerciale si susseguiranno e l'A. segnala la serie dei magazzini privati nel cui elenco primeggiano gli horrea Sempronia, i Sulpicia / Galbana, i Seiana e soprattutto i Lolliana noti dalla Forma Urbis Severiana, precursori di una politica di interventi nell'area emporica che si protrarrà anche nella prima età imperiale ma che sembra attenuarsi dopo la costruzione del porto di Traiano: in effetti il trasferimento definitivo del traino fluviale lungo la riva destra è probabile che abbia comportato la costruzione dei nuovi horrea nella zona del Transtiberim. Il capitolo si conclude con una precisa analisi delle indicazioni toponomastiche desumibili dalla lista della Base dei magistri vicorum dell'età adrianea, confrontata con le citazioni dei dioclezianei Cataloghi Regionari.
3. "El Monte Testaccio" (cap. 3) è dedicato da un lato alla storia postantica del colle, dall' altro alla puntualizzazione topografica del succedersi delle deposizioni dei frammenti anforari mediante un confronto tra i dati risultanti dalle indagini che Rodriguez Almeida condusse negli anni successivi al 1968 e quelli acquisiti nel corso degli scavi diretti da J. M. Blazquez Martinez a partire dal 1989.
Indubbiamente la serie degli avvenimenti, di cui il Monte Testaccio fu fulcro, ha qualcosa di avventuroso: lo si trova persino al centro di rappresentazioni sacre o di feste carnavalesche, dopo il suo passaggio nella proprietà del popolo romano a partire dal XIII secolo, con episodi che lo vedono accomunato ai giuochi che si svolgevano in Piazza Navona. Divenuto poligono di tiro per l'artiglieria sotto il pontificato di Clemente IX, ma anche sede di mondezzaio per "calcinacci [...] rottami di strade, sassi ed altre materie solide" (1665), il colle fu interessato da scavi di ogni tipo ed in particolare dalle grotte adatte a conservare il vino nella giusta temperatura (altra zona di cantine privilegiate dai Romani fu quella della Catacombe di San Sebastiano). La sua posizione strategica non sfuggì agli episodi bellici che contraddistinsero la lotta tra le truppe francesi e la Repubblica romana nel 1849, con cannoneggiamenti che recarono non pochi danni alla conformazione stessa della cima del colle. Del resto analogo uso ne fu fatto nel corso della II guerra mondiale.
Anche partendo dalla ricostruzione delle modifiche intervenute nella topografia del Testaccio, ma soprattutto ricollocando planimetricamente la preziosa documentazione che aveva permesso a H. Dressel (1872) di associare ai trovamenti epigrafici le informazioni cronologiche derivanti dalle originarie deposizioni dei materiali, Rodriguez Almeida creò una razionale cartografia dei vari punti di deposito nei diversi momenti dell'Impero mediante l'individuazione di una piattaforma primigenia (dal periodo augusteo all'età antonina) e di una area adiecta (dai Severi a Gallieno). In parallelo con l'articolarsi cronologico di questi trovamenti, gli studi di M. Ponsich et al. lungo la vallata del Guadalquivir identificavano le aree di produzione della Baetica e la provenienza delle anfore olearie conservate nell' "archivio" del Monte Testaccio. Per inciso va sottolineata, grazie all'individuazione di un terminus post quem non, la coincidenza della decadenza dell'uso specialistico del monte con la chiusura delle banchine di scarico causata dall'inglobamento del lato fluviale dell'Emporio nelle mura di Aureliano.
Partendo da queste basi note il lavoro degli ultimi anni, che ha visto in prima fila il gruppo di studio diretto da J. Remesal Rodriguez e di cui fa parte l'A., ha potuto affinare la delimitazione delle varie terrazze di deposito evidenziando altresì ulteriori momenti puntuali nella storia dell'enorme accumulo con l'identificazione di una terza piattaforma. Oltre alla creazione della banca dati, va inoltre segnalato che le indagini hanno saputo leggere la particolare tecnica usata dagli antichi nel deporre i frammenti attraverso la creazione di muri fatti con le stesse anfore allo scopo di contenere i successivi depositi.
In definitiva il quadro che Aguilera Martín delinea - anche mediante un apparato cartografico originale - sulla storia della piana dominata da uno dei sette colli artificiali di Roma, costituisce non solo un utile strumento per gli studiosi della topografia romana antica ma anche una valida guida allo studio dello sviluppo funzionale di uno dei quartieri dell'Urbe finora meno noti, recando un indubbio tassello alla ricostruzione di un panorama archeologico, economico e prosopografico che copre l'arco di circa quattro secoli.
Nota:
[1] Ma v. ora anche P. Sommella: La Roma plautina con particolare riferimento a Curculio, 467- 485, in: Lecturae Plautinae Sarsinates VIII, Urbino 2005, 69-106.
Paolo Sommella