Francesco Carta: Interpretare Francesco. I frati, i papi e i commenti alla Regola minoritica (secc. XIII-XVI) (= sacro / santo. nuova serie; 32), Roma: Viella 2022, 458 S., ISBN 979-12-5469-200-4, EUR 38,00
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Francesco Carta si misura, con questo importante volume, con uno degli argomenti più spinosi e al tempo stesso più intriganti della storia complessa e travagliata dell'ordine dei Minori: l'interpretazione e l'osservanza della Regola. Lo fa ripercorrendo un genere di opere molto noto, ma mai preso in considerazione nel suo insieme come punto di vista privilegiato per indagare una storia indubbiamente difficile come fu quella dei 'figli' di Francesco nei secoli medievali fino alle soglie dell'età moderna, alla metà del XVI secolo, limite cronologico che l'autore si pone.
Si potrebbe forse dire che ragione ultima di questo genere testuale - che si incrocia e si interseca con le declarationes, ossia le lettere papali a commento della Regola, e in parte con le constitutiones, elaborate a partire dal 1239 - sia non un problema, ma il problema costitutivo per quel gruppo di penitenti, divenuti rapidamente un grande ordine, che aveva avuto il grande privilegio di una nuova Regola, ispirata - secondo Francesco e i suoi frati - da Dio ed equivalente al Vangelo stesso. Come ben spiega Francesco Carta, "Seguire una Regola evangelica, ispirata da Dio e vissuta da colui che gli era stato talmente conforme da presentare impressi nella carne i simboli della sua passione, fu insieme un motivo di orgoglio e una fonte di continui problemi per l'Ordine minoritico" (336).
Se, infatti, il binomio Regola/Vangelo, indissolubilmente legato a quello Francesco/Cristo, poneva l'Ordine in una condizione di perfezione nell'ambito della Chiesa e della societas christiana, al tempo stesso "quelle norme costituivano un riferimento giuridico ingombrante che, nella pratica, si rivelava un impedimento per l'adattamento dei frati a nuove esigenze e a nuove situazioni che avrebbero significato un sostanziale aggiornamento normativo" (336). Di qui, dopo il fondamentale pronunciamento della Quo elongati, sollecitato dai frati stessi, che li svincolava dal rispetto del Testamento e quindi anche dall'obbligo di non mettere glosse/spiegazioni nella Regola, i frati ottennero la possibilità di commentarla e lo fecero a partire dagli anni quaranta del Duecento (Expositio quatuor Magistrorum, 1241-1242), con inesausta determinazione. L'autore osserva che "nessun altro ordine religioso nel Medioevo e nella prima età moderna produsse una mole di testi intorno alla loro Regola paragonabile a quella dell'Ordine minoritico" (22). A ragione Francesco Carta sottolinea questo aspetto perché vi sono delle peculiarità e delle unicità riguardanti l'Ordine nato dall'esperienza di Francesco che non trovano eguali né corrispettivi neppure nell'alveo delle altre famiglie mendicanti e ne attestano, pur accanto a molti tratti comuni omologanti, elementi di singolarità che non si possono in alcun modo trascurare se si vuole comprenderne appieno la non lineare vicenda storica.
Il testo chiave per cogliere la problematicità rappresentata dall'esistenza stessa dei commenti è, come detto, il Testamento che Francesco aveva scritto con l'esplicita finalità di aiutare i frati ad osservare "più cattolicamente la Regola", esortandoli a tenerlo sempre con sé insieme alla Regola. "Verrebbe quasi da pensare - commenta in modo pienamente condivisibile Carta - che, in fondo, proprio Francesco avesse appena scritto una glossa alla Regola, l'unica possibile, quella di colui che il Signore aveva scelto per scrivere quelle parole" (45). Emerge qui uno dei paradossi della vicenda di Francesco: lui, che aborriva i privilegi, aveva ottenuto il grandissimo privilegio di una propria Regola; lui, che non voleva che quella sua Regola fosse commentata, l'aveva commentata lui stesso, indicandone tuttavia "una lettura immediata, priva di superfetazioni e ragionamenti artificiosi: così come Francesco scrive la Regola, senza significati nascosti, così i frati devono limpidamente comprenderla e osservarla" (44).
Carta ripercorre tale lussureggiante ricchezza di testi seguendo un lungo itinerario che prende avvio dai primi anni quaranta dei Duecento e prosegue fino all'età delle grandi riforme nella prima metà del Cinquecento. L'autore organizza l'ampia materia trattata conferendo "al libro un'architettura fondata sull'analisi delle singole opere" (31) e procede con una periodizzazione suddividendo il lavoro in sei densi capitoli, di cui è necessario dare brevemente conto.
Il primo è consacrato alle origini dei commenti, quindi le vicende del Testamento, la Quo elongati, prima fondamentale dichiarazione papale, e le prime expositiones, dai quattro maestri all'Elucidatio di Ugo di Digne (37-83). Il secondo capitolo è dedicato ai dibattiti parigini della seconda metà del Duecento, con alcuni degli autori che più hanno segnato la storia dell'ordine: Bonaventura, Pecham, Giovanni del Galles (85-135). Al centro del terzo capitolo sono gli Spirituali e la disputa di Avignone, il tentativo di risoluzione del contrasto tutto interno all'Ordine con la Exivi de paradiso di Clemente V e i commenti alla Regola dei più noti esponenti spirituali: Pietro di Giovanni Olivi, Ubertino da Casale, Angelo Clareno (137-181).
Decisamente meno battuti i percorsi che Francesco Carta affronta nei tre successivi capitoli: il quarto, in cui l'attenzione si concentra sul Trecento, dopo il durissimo contraccolpo subito dall'ordine con le decisioni di Giovanni XXII, affrontando opere 'compilative' come il De conformitate di Bartolomeo da Pisa e la Compilatio avenionensis (183-210); il più corposo quinto capitolo in cui viene trattato il tema delle Osservanze con l'analisi dell'interpretazione della Regola proposta da alcuni tra i più noti protagonisti dell'Osservanza, quali Giovanni da Capestrano, Cristoforo da Varese, Alessandro Ariosto, spingendosi l'autore fino a considerare alcuni tentativi di riforma colettana di inizio Cinquecento (211-281); e infine il sesto e ultimo capitolo che giunge cronologicamente ancora più avanti, fino alla prima metà del Cinquecento, con i testi di Riformati, cappuccini e luterani (283-334).
A tenere saldamente unito il lungo percorso è il metodo di analisi con cui le opere sono affrontate, con specifico riferimento alla contestualizzazione generale (non solo ai dati scontati dell'autore e della datazione, ma con peculiare attenzione ai destinatari, alle finalità e ai rapporti con altre opere), e al proficuo confronto con le "prassi scrittorie attestate negli ambienti universitari coevi" (31). A rendere omogenea e coesa l'analisi è altresì il filo dei tre nodi tematici che attraversano tutto il volume: il nodo del divieto di Francesco di glossare la Regola; l'esame del capitolo XII della Regola dedicato alle "missioni"; la classificazione, operata dai frati, delle norme della Regola "secondo il loro grado di obbligarietà" (31). I sei capitoli sono corredati da una Introduzione, da utili e corpose Conclusioni e da due Appendici, una relativa alla tradizione manoscritta delle opere e l'altra alla struttura delle Expositiones.
Uno dei contributi più rilevanti della ricerca mi pare vada individuato proprio nell'analisi strutturale di questi testi messi a confronto con i commenti universitari, pur nella consapevolezza della varietà di finalità, autori, contesti e della commistione, tipica di molti commenti, di generi diversi, che rinvia, nel suo complesso, a quell' "incessante attività intellettuale dell'Ordine minoritico che, comportandosi come una vera e propria "comunità testuale", ragiona, grazie alla propria élite culturale e con l'ausilio dei pontefici, sul testo base della sua interpretazione del cristianesimo: la Regola" (363-364). Perché certamente - ed è merito di Francesco Carta averlo mostrato in modo chiaro e convincente - per i frati, per tutti i frati, la Regola non era uno degli strumenti, "ma lo strumento più perfetto per seguire la vita di Cristo raccontata dagli evangelisti" (370): difenderla, interpretarla, commentarla diventava così un modo per "'francescanizzare' la societas christiana" (371).
Maria Teresa Dolso