Jessica Lightfoot: Strabo (= Understanding Classics), London: Bloomsbury 2025, 160 S., ISBN 978-1-350-16095-8, GBP 60,00
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Si assiste negli ultimi anni a un rinnovato interesse per l'opera geografica di Strabone. Alla fine di giugno 2025 un convegno internazionale si è svolto in Amasya, la patria di Strabone, con il sostegno dell'amministrazione comunale della città e su iniziativa di Mustafa Sayar. Il libro di Jessica Lightfoot mira a dare un'idea chiara del posto che Strabone occupa nella cultura del suo tempo e all'interno della tradizione letteraria e scientifica; la Geografia andrebbe letta "on its own terms" più che come deposito di frammenti sparsi di documentazione antica (2).
Dei sei capitoli in cui è diviso il libro, il primo illustra la biografia di Strabone: il rango sociale della famiglia e i rapporti con i re del Ponto, Mitridate V e VI, la formazione intellettuale e i viaggi. Non è però convincente la nuova vulgata secondo cui egli avrebbe scritto due diverse opere storiche oltre ai Commentari (16-21; 118).
L'attenzione si sposta quindi sulla storia della geografia (2. Strabo: Geographer and Philosopher). Intesa come "a separate discipline", la geografia costituisce un campo di studio relativamente giovane, risalente a Eratostene, mentre la storiografia è di più antica data. Questa affermazione per la verità è fondata solo in parte, perché la descrizione e rappresentazione della terra abitata c'era già da tempo in Grecia. Certamente le conquiste di Alessandro Magno cambiarono l'immagine del mondo agli occhi dei Greci e anche la geografia ebbe così un nuovo inizio, per così dire, ma la sua tradizione letteraria è pre-ellenistica. Per Eratostene (I A, 1 Berger) i primi due geografi dopo Omero sono Anassimandro ed Ecateo e lo stesso Strabone (VI, 1, 2) di passaggio designa la sua opera come una perìodos ghes.
Il carattere filosofico della geografia è proclamato da Strabone già nell'incipit dell'opera. Del tutto estranea alla concezione eratostenica del sapere, quest'idea si spiega con lo stoicismo e in particolare con Posidonio, l'autore più recente con il quale Strabone si confronta ripetutamente sia nei due libri introduttivi sia nella periegesi. Stoica è infatti la convinzione, del resto non nuova, che i miti conserverebbero un fondo di verità e che i primi poeti sarebbero i primi filosofi (40); di qui la rivalutazione della sapienza di Omero anche in campo geografico, una posizione radicalmente diversa rispetto a quella di Eratostene.
I due capitoli seguenti (3. Strabo and Homer; 4. Strabo, Myth and History) riprendono il filo del rapporto con la tradizione epica e con il mito. Strabone ritiene che l'Iliade e l'Odissea abbiano un grande valore come fonti geografiche (43). Questi capitoli costituiscono una parte corposa del libro e toccano la composizione stessa dell'opera geografica. L'atteggiamento di Strabone (XI, 6, 2-4) dinanzi ai miti è complesso (70 sgg.). Dopo la conquista macedone le informazioni sull'Oriente degli storici antichi, come Erodoto e Ctesia, appaiono ormai ben poco attendibili. D'altro canto la marcia eroica di Alessandro ha prodotto una nuova geografia mitica (XI, 5, 5) che Eratostene per primo denunciò con franchezza (75). Sul rapporto mito-storia-geografia le riflessioni di Strabone sono quindi filtrate dalla cultura ellenistica e dal dialogo a distanza con Polibio e Posidonio (77 sgg.; 90 sg.). Perciò ogni confronto, istituito dai moderni, fra Strabone e i suoi predecessori va di volta in volta storicamente contestualizzato, altrimenti rischia di apparire un esercizio retorico.
Con il cap. 5 (Strabo and Rome) il lettore è condotto nel presente storico di Strabone. Ai nostri occhi egli appare come il geografo dell'impero romano, ma è fuorviante accentuare oltre misura il ruolo di Roma nella composizione della Geografia con le sue premesse teoriche nei libri I-II. Già per Polibio (III 58-59) dopo le imprese di Alessandro in Asia le conquiste romane hanno ampliato le conoscenze geografiche. Non si può affermare però che la geografia universale è in ultima analisi un prodotto dell'ascesa di Roma (94). Si tratta di una prospettiva moderna comprensibile ma infondata, perché la descrizione e la rappresentazione grafica del mondo abitato nascono nella Grecia tardo-arcaica senza che abbiano alcuna implicazione geo-politica. Il passo (I, 2, 1) giustamente citato da Lightfoot (93) è in fondo uno dei rari riferimenti dei libri introduttivi alla potenza romana. Proprio nella premessa teorica e storica, in cui Strabone sottolinea fin dall'inizio la funzione politica della geografia accanto alla sua importanza culturale e scientifica, Roma resta piuttosto sullo sfondo rispetto alla lunga trattazione delle questioni erudite. Né può attenuare questa mancanza il fatto che alla fine dell'opera (XVII, 3, 24-25) Strabone riassuma le tappe dell'ascesa di Roma e descriva l' amministrazione provinciale dell'impero (96 sgg.).
Tutto questo è ben noto e si tratta in fondo di una questione di misura. Sembra infatti eccessivo affermare che "The power of Rome permeates the Geography from its very first book" (94). Come spiegare il posto assegnato nell'opera straboniana all'ipertrofica trattazione della geografia e della topografia omerica? La descrizione supera ampiamente i limiti dell'impero romano e bisogna sottolineare che alle ambiziose premesse teoriche dei libri I-II corrisponde solo in parte la loro applicazione nella periegesi (III-XVII). Proprio tali incoerenze sollecitano una visione più sfaccettata, più sfumata, della Geografia con le sue luci e ombre. L'ultimo capitolo informa sulla fortuna di Strabone nella cultura antica, medievale e rinascimentale (6. Strabo's Reception and Legacy).
Nei limiti di spazio previsti dalla collana (Understanding Classics) Jessica Lightfoot assolve certamente il compito di un'informazione sobria, chiara e documentata. Attraverso i frequenti richiami di vari brani, presentati in traduzione, i lettori potranno farsi una prima idea sulla figura e sull'opera di Strabone. Lightfoot persegue l'obiettivo dichiarato di restituire un'immagine netta e coesa della Geografia, fortemente segnata dal dominio romano.
Proprio perché questo libro è pensato per un pubblico ampio di lettori, bisogna però segnalare due aspetti trascurati ma essenziali dell'opera straboniana. Nella scelta dei brani manca in sostanza la geografia descrittiva, a cominciare proprio dalle condizioni fisiche e antropiche delle province romane o dell'Italia augustea (risorse, viabilità, distanze per terra e per mare). Pagine ben note sull'Iberia, la Celtica, la Cisalpina, per non parlare dell'Asia Minore o della Siria, offrono una documentazione insostituibile al riguardo. Non c'è in fondo modo migliore per apprezzare il valore dell'informazione straboniana su un mondo divenuto in buona parte romano. E' giusto sottolineare la formazione storica di Strabone, ma senza deprimere la geografia.
La descrizione dell'ecumene presuppone comunque la sua rappresentazione visiva e anche per i moderni la geografia è associata strettamente alla cartografia. In una lunga sezione del secondo libro (II, 5, 1-40) sono discussi i problemi posti dalla raffigurazione della terra abitata. Non c'è alcun dubbio che le mappae mundi rientrano fra gli strumenti di lavoro di Strabone e gheographìa, sarà bene ricordarlo, non significa solo descrizione della terra (23).
Francesco Prontera