Rezension über:

Albertino Mussato: De lite inter Naturam et Fortunam. Edizione critica, traduzione e commento a cura di Bianca Facchini (= Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini d'Italia; 60), Firenze: SISMEL. Edizioni del Galluzzo 2021, VI + 372 S., 12 s/w-Abb., ISBN 978-88-8450-966-6, EUR 76,00
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Rezension von:
Antonio Montefusco
Università Ca' Foscari, Venezia
Redaktionelle Betreuung:
Ralf Lützelschwab
Empfohlene Zitierweise:
Antonio Montefusco: Rezension von: Albertino Mussato: De lite inter Naturam et Fortunam. Edizione critica, traduzione e commento a cura di Bianca Facchini, Firenze: SISMEL. Edizioni del Galluzzo 2021, in: sehepunkte 23 (2023), Nr. 5 [15.05.2023], URL: https://www.sehepunkte.de
/2023/05/36970.html


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Albertino Mussato: De lite inter Naturam et Fortunam

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Il testo intitolato De lite inter Naturam et Fortunam è qui oggetto di una edizione rinnovata (un tentativo era stato proposto da A. Moschetti nel 1927) e dotata di una escussione completa dei due testimoni, C (= Sevilla, Biblioteca Capitular y Colombina, 5.I.5) e P (= Padova, Biblioteca Civica, B.P. 2531), per le cure di Bianca Facchini.

Basandosi sui lavori già avanzati di Billanovich et alii [1], la curatrice si attesta sulla posizione per la quale P - un ms. che i precedenti studiosi ritenevano trecentesco, ma che è presumibilmente più tardo - è descriptus di C, un testimone antiquiore; gli argomenti riportati a p. 76 in realtà sembrano far propendere per una collateralità del testimone P, che probabilmente aveva un antigrafo affine ma non coincidente con C, da cui, per esempio, non eredita le glosse ma soprattutto gli elementi paratestuali, in particolare le rubriche, che articolano il testo in maniera più dettagliata (distinguendo, per esempio, proemio e testo dialogato); l'elemento è talmente rilevante che la rubrica iniziale di P è quella che trasmette il titolo come De lite inter Naturam et Fortunam (contro il più piano Liber Fortune et Nature di C); articolazione e precisione paratestuale fanno propendere per l'autorialità della rubrica, rafforzando ulteriormente l'idea di una certa indipendenza dei due codici. Ciò non toglie che il restauro del testo è solido e utilmente conseguente alla scelta di basarsi sul codice di Sevilla: la parentela così stretta è ulterioremente garantita dalla estremamente selezionata occorrenza di varianti adiafore, poco più di 10 e perlopiù attinente all'ordine delle parole (tranne un interessante ferocior di C a 118, contro fortior di P, effettivamente seriore); allo stesso tempo, saggiamente l'editrice ha mantenuto le rubriche di P a testo, nonché ha arricchito l'apparato anche delle glosse che sui due testimoni si sono accumulate fin dal Trecento (discutendone la relazione fra loro alle 83-94).

L'opera si colloca saldamente nel genere dell'Altercatio, un dibattito dialogato di natura controversistica; piuttosto ricercata ci sembra la scelta del titolo, che sembra propendere per l'aspetto 'giuridico' della controversia (lis) e che non è così diffuso; questo dettaglio non viene sottoposto ad analisi dall'editrice, che invece ha tendenza a conguagliarlo più genericamente ad altri generi, che mi pare poco si addicano all'opera (in particolare il conflictus e la quaestio). Si tratta, beninteso, di una questione davvero di dettaglio; sia la restitutio sia la ricca introduzione dotano finalmente il De lite di un'interpretazione complessiva e ricca, recuperando e mettendo a frutto una ricca letteratura critica precedente e offrendo il testo a ulteriori approfondimenti. Molti interpreti vi si erano interessati, per ragioni multiple. Due i poli di attrazione: innanzitutto, il suo significato nel percorso biografico-politico del Mussato; in secondo luogo, la riflessione storica (sarei tentato di dire di "filosofia della storia") sviluppata esplicitamente.

Sul primo piano, andrà sottolineato come il De lite sia stato redatto mentre Mussato era di nuovo allontanato da Padova, dopo i tumulti del 1325, e viveva il suo esilio sulla laguna veneziana a Malamocco; Facchini corregge leggermente la datazione dell'opera datandola precisamente al 1326, sulla base del riferimento, purtroppo non esplicito, a Rolando da Piazzola (142), morto in quell'anno. Il dialogo-dibattito tra le personificazioni di Natura e Fortuna è inquadrato all'interno di un sogno / raptus, in cui il narratore vede i due personaggi, che in seguito cominciato a discutere. Il primo macro-tema è la natura delle due entità, il rapporto con il caso e con l'Arte, e la relazione di cura che esse intrattengono con i beni umani, in particolare l'amicizia, la politica, la nobiltà; dopo alcuni intermezzi, il discorso si allarga alla escatologia e all'astrologia, fino all'apparizione finale di Cristo che chiude la lis con una sententia finale. In essa, egli spiega che l'azione dell'uomo è il risultato di influssi diversi: quello delle stelle, quello degli angeli e quello di Dio. Su questa scacchiera complessa si posizione l'influenza differente delle due entità, che però trova nuova spiegazione nella distinzione tomistica tra corpo, intelletto e volontà (rispettivamente sotto il controllo dei corpi celesti, degli angeli e di Dio). E' questa pluralità che ha dato adito a spiegazioni diverse, sviluppate da poeti e filosofi; l'unica certezza è che la disposizione divina è unica, porta verso il bene se accompagnata dalla volontà e nega la consistenza del fato.

All'interno di questo quadro, in cui vengono mobilitate una pluralità di fonti, Mussato inserisce un'importante riflessione su Padova e sulla storia recente dei suoi vari regimi, assimilando la vita della città all'interno di un ciclo assimilabile a quello dell'uomo: dopo 40 anni le costituzioni politiche si corrompono a causa della discordia originata dall'abbondanza, che la porta prima a una soluzione oligarchica, poi a una autocrazia (dopo ulteriori vent'anni), unica soluzione che le permette la sopravvivenza (107-115). In un saggio memorabile, Rubinstein rilevò come le fonti storiografiche classiche e medievali (in particolare Sallustio e Agostino) venissero essenzializzate da Mussato in un'idea per la quale i governi sono sottoposti a rigide leggi naturali. [2]

L'editrice tende a mitigare questa essenzializzazione sulla base della preoccupazione cristiana e morale del Mussato, che esalta comunque il peso della responsabilità umana nella storia. In effetti, al di là della proclamazione teorica delle leggi generali del progresso, vale sia la finale sententia di Gesù, ma anche - e forse di più, si direbbe - la puntuale ricostruzione che Mussato offre del passaggio di Padova a un regime personale con la nomina di Giacomo da Carrara. Tale passaggio è descritto come un rimedio alle lotte intestine della città. Interessante è anche, poco dopo, la ricapitolazione del rapporto tumultuoso tra i patavini e l'imperatore Enrico VII. Nella loro rivolta, dovuta alla instabilitas, che li porta a ribellarsi a Enrico e agli Scaligeri, è individuata con precisione la ragione delle degenerazioni seguenti. La posizione di Mussato nella di poco più tarda Traditio sarà più vigorosamente anti-tirannica.

Il De lite si configura a più livelli come un'opera importante per una più conseguente definizione dell'umanesimo mussatiano nonché per il suo percorso politico cangiante. Per genere ma anche per contenuti, esso si presenta come un interessante compromesso tra impulsi classicisti (sulla storia, ma anche per le posizioni sulle fabule degli antichi, molto diverse dall'ipotesi concordista delle lettere) e quadro culturale, se non teologico, medievale. L'editrice cita soprattutto le premesse medievali del testo, indicando a più riprese l'Anticlaudianus, ma non sottovaluterei anche le relazioni con la tradizione enciclopedica romanza, come il Roman de la Rose, dove la questione del rapporto triangolare tra fato, Natura e Ragione trova percorsi similari, da indagare ulteriormente.

Ma fa ulteriormente testo la fedeltà di Albertino alla posizione di Tommaso d'Aquino, da poco - 1323 - assurto all'onore della beatificazione, come lo stesso Mussato ricorda con soddisfazione; la relazione con la cultura domenicana meriterebbe più di un approfondimento, per esempio sul terreno della posizione che Albertino esplicita nei confronti dell'astrologia ma anche della profezia, in più passaggi del testo; talvolta, la diffidenza verso oracoli oscuri e ambigui sfocia nell'ironia, come nel caso della profezia emessa da Mussato nell'ultima ambasceria presso Enrico VII (218-226). Mi pare un punto ulteriore di avvicinamento sia a Tommaso sia alla sufficienza con cui Dante guarda agli "astronomi quidam et crude prophetantes" da parte di Dante nell'Epistola ai cardinali.

Annotazioni:

[1] Guido Billanovich, Guiglielmo Travaglia: Per l'edizione del "De Lite inter Naturam et Fortunam" e del "Contra casus fortuitos" di Albertino Mussato, in: Bollettino del Museo Civico di Padova 31-43 (1942-1954) 279-296.

[2] Nicolai Rubinstein: Some idea on Municipal Progress and Decline in the Italy of Communes, in: Fritz Saxl, 1890-1948: A volume of Memorial Essays, ed. Donald J. Gordon, London 1957, 165-183.

Antonio Montefusco