Bruno Bleckmann (Hg.): Herodot und die Epoche der Perserkriege. Realitäten und Fiktionen. Kolloquium zum 80. Geburtstag von Dietmar Kienast (= Europäische Geschichtsdarstellungen; Bd. 14), Köln / Weimar / Wien: Böhlau 2007, XI + 170 S., ISBN 978-3-412-08406-6, EUR 29,90
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Il volume raccoglie le relazioni pronunciate in un convegno tenutosi a Monaco l'8 e il 9 ottobre del 2005. Il tema prescelto è la prosecuzione di alcune delle tematiche su cui Dietmar Kienast ha lavorato: la storia politica e militare delle guerre persiane, l'immagine che Erodoto offre dei protagonisti, la storia della ricezione della rappresentazione erodotea (così Bleckmann nella Premessa, IX). I contributi sono raggruppati in tre sezioni: la prima sulla monarchia persiana, la seconda e più corposa su Sparta, Atene e i Greci, la terza sulla ricezione delle guerre persiane.
Il sottotitolo (Realitäten und Fiktionen), richiamato nella Schlußwort di Kienast (170) spinge ad alcune considerazioni preliminari. L'idea che lo storico moderno debba (e possa) separare la realtà dei fatti dalle invenzioni narrative degli storici antichi presuppone da un lato una chiara definizione di cosa sia il fatto storico o il vero storico, dall'altro la comprensione dei rapporti tra questo fatto storico e la narrazione degli storici antichi. Nel caso delle guerre persiane la nostra fonte principale, Erodoto, lavorava principalmente sulla base di testimonianze, oculari e non, che selezionava e valutava. Ma già i testimoni, come avverte Tucidide nel capitolo programmatico (1. 22. 3), possono essere ingannati dalla memoria o dal favore verso qualcuno dei protagonisti. La narrazione dello storico antico si configura quindi, per così dire, come un racconto di secondo grado o, in altri termini, come un metaracconto, un racconto dei racconti e sui racconti. I commenti e i giudizi degli storici appaiono in questa luce come una riflessione sui fatti narrati, sulle testimonianze raccolte e anche sulla narrazione stessa che ne risulta (e talvolta sulle narrazioni di storici precedenti). Eforo (FGrHist 70 F 9) aveva capito perfettamente che, in mancanza di altri elementi di confronto, l'unico modo per valutare una narrazione storica è la verosimiglianza e, inoltre, che il vero nodo problematico è l'identificazione dei fatti nella miriade di dettagli, presumibilmente autentici se si tratta di vicende recenti, verosimilmente inventati quando il racconto riguarda la remota antichità. La chiave per tentare di superare questi problemi sta nel valorizzare l'idea di tradizione (vd. Kienast, 169): tradizione orale alla base del racconto storico, tradizione storica antica, come quella erodotea sulle guerre persiane, tradizione storica moderna. Queste tre forme della tradizione, che interagiscono tra loro, meritano di essere analizzate non solo per risalire al fatto, una cosa spesso difficile da ottenere e impossibile da verificare, ma per se stesse, per il loro intrinseco valore. Nei vari contributi del volume il concetto di tradizione è di solito applicato, nella consapevolezza, spesso non dichiarata, che l'oggetto di studio più promettente sia proprio quel area dai confini incerti collocata tra i fatti accertati e le invenzioni smascherate.
Il lavoro di Josef Wieshöfer che apre la prima sezione è dedicato alla morte di Serse. Dal confronto tra le versioni di Ctesia, Diodoro e Pompeo Trogo e le fonti persiane emerge sia la deformazione prodotta dagli stereotipi greci relativi alla Persia (la tirannide orientale, gli intrighi di palazzo) sia la ben diversa valutazione che i Persiani davano di Serse e del suo successore Artaserse I.
Peter Funke esamina l'idea della vendetta per la distruzione dei templi come motivo che avrebbe determinato l'attacco persiano contro la Grecia: si tratta di una concezione nata in ambito greco posteriormente alle guerre persiane.
La seconda sezione è aperta da uno studio di Karl-Wilhelm Welwei su Cleomene I e Pausania, incentrato sui rapporti tra singole personalità di spicco e la città di Sparta tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C. Dalla sua indagine emerge un dato di grande interesse che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, la prudenza di Tucidide sulle testimonianze: la nostra tradizione storica dipende da vere e proprie strategie di disinformazione messe in opera dalle cerchie di sostenitori o oppositori dei vari protagonisti.
Wolfgang Blösel si sofferma sul programma di allestimento della flotta ateniese in Erodoto, giungendo a concludere che la flotta che ha combattuto a Salamina è stato il risultato di uno sforzo durato dai sei agli otto anni e legato all'inasprirsi del conflitto con Egina. D'altro canto l'evacuazione dell'Attica non sarebbe stata pianificata prima dell'arrivo dell'esercito persiano nella Grecia centrale. Nelle scelte di Erodoto possono aver inciso il desiderio di drammatizzare la vicenda e di esaltare Temistocle (54) e anche, nel caso della decisione di condurre la guerra per mare, la propaganda ateniese degli anni successivi alle guerre persiane (60). Questo lavoro pone un problema metodologico con cui ci si confronta continuamente, quando si studiano gli storici antichi: l'autore correttamente segnala che una cifra, quella delle 200 navi, dà l'impressione della costruzione (54) e che il sincronismo tra il programma di allestimento della flotta e l'ostracismo di Aristide appare anch'esso costruito (56). Il problema è se e in che modo si può superare il criterio della verosimiglianza teorizzato da Eforo (vd. sopra).
Il lungo contributo di Michael Zahrnt è dedicato alle relazioni tra Atene e Sparta nel periodo delle guerre persiane. L'autore contesta con successo la tesi di M. Steinbrecher, Der Delisch-Attische Seebund und die athenisch-spartanischen Beziehungen in der Kimonischen Ära (ca. 478/7-462/1), Stuttgart 1985, secondo cui la contrapposizione tra Atene e Sparta sarebbe operante già prima delle guerre persiane. Un aspetto che non può essere sottovalutato a proposito delle relazioni tra Sparta e Atene nell'ultima parte del VI secolo e nei primi decenni del V è che i rapporti erano più spesso tra gene aristocratici che non tra città. In questo periodo le nozioni di pubblico e di privato non erano ancora perfettamente definite e sarebbe un errore proiettare indietro la situazione che conosciamo per il periodo successivo alle guerre persiane.
Wolfgang Schuller ha affrontato i passi erodotei nei quali sono descritti i dibattiti tra i Greci per decidere la strategia più opportuna contro i Persiani. Esclusa la possibilità che Erodoto potesse (o volesse) riprodurre verbatim i vari discorsi, l'autore osserva che la narrazione erodotea si adatta alle varie situazioni, fornendo maggiori dettagli per quelle di maggiore interesse. Ne emerge la necessità di sottoporre a ulteriori indagini la tecnica narrativa di Erodoto, nel tentativo di cogliere i motivi delle sue scelte.
Dietmar Kienast esamina le testimonianze relative alle ricompense al valore (aristeia) dalle guerre persiane all'età ellenistica. Le premesse per questo uso sono da ricondurre, secondo l'autore, alla lega ellenica costituitasi per respingere la minaccia di Serse (115). Sulla sua affermazione hanno inciso il modello omerico e l'uso persiano di offrire doni ai combattenti più valorosi (116). Particolarmente interessanti sono le osservazioni sulla progressiva commercializzazione della guerra, che inizierebbe proprio con le guerre persiane e con l'enorme bottino conquistato a Platea (119).
Il primo dei due lavori che compongono la sezione sulla ricezione è quello di Bruno Bleckmann su Ctesia di Cnido utilizzatore di Erodoto. L'autore respinge la tesi secondo cui Ctesia avrebbe fatto ricorso a tradizioni autonome da Erodoto e considera tutte le differenze tra Erodoto e Ctesia come varianti introdotte da Ctesia, secondo una prassi che sarebbe tipica della storiografia del IV secolo. A mio avviso, occorre evitare pericolose generalizzazioni sia a proposito di Ctesia sia, a maggior ragione, relativamente alla storiografia del IV secolo. Analogamente, soprattutto in mancanza dell'opera di Ctesia, eviterei di parlare di gioco letterario (140) o di witzige Parodie (Bichler, 148).
Ruprecht Ziegler tratta dell'uso politico delle guerre persiane nella seconda sofistica. La vitalità della Perserkriegsidee si manifesta in rapporto sia ai conflitti tra Roma e l'impero partico, considerato come una reincarnazione di quello persiano, sia al tentativo di integrare le città greche nell'impero senza distruggere la loro identità, anzi fondandola nuovamente grazie al recupero di antichi miti politici. Di particolare interesse sono le considerazioni sul legame tra guerre persiane, Alessandro Magno (e imitatio Alexandri) e culto di Atena e sulle rielaborazioni di questo tema in età imperiale romana (162-167).
Il volume, ben curato sotto l'aspetto editoriale e redazionale, è certamente utile sia per la discussione analitica di alcuni punti delicati del racconto erodoteo (ad es. l'allestimento della flotta ateniese) sia perché propone una serie di possibili approcci ai problemi posti da Erodoto. Questi approcci, benché variamente declinati, provengono tutti dalla tradizione degli studi storici e possono proficuamente integrarsi con altri approcci, di matrice filologico-letteraria.
Roberto Nicolai